«Dove andiamo, allora?» domandò Roverandom.
«Seguiamo la scia della luna fino al limite del mondo e poi lo superiamo e saliamo sulla luna».
Non so se Tolkien mentre raccontava questa favola dorata sapesse di essere un gioielliere con un cammeo in mano. Immagino che il genio porti sempre con sè una certa inconsapevolezza.
Un cagnolino di latta perduto: così nasce questo gioiellino, in un pomeriggio assolato in spiaggia, quando Micheal Hilary Reuel Tolkien dimentica sulla sabbia il suo gioco preferito. Ed è così che prende vita un impeccabile minuscolo capolavoro, grande come una miniatura, illustrato dall'autore stesso, imbevuto di una delicatezza di acqua di rose, di animali gentili, di stregoni arroganti e di sirene meravigliose.
Roverandom era un cagnolino vero, un tempo, una creaturina che nella sua piccolezza si è macchiato di aver fatto uno sgarro a uno stregone raggrinzito dal sole, un "cucciolotto impertinente". Con questo delizioso racconto Tolkien in tono dolceamaro insegna a un bimbo l'esistenza degli intrecci del destino, gli insegna a non rassegnarsi ma ad aprire gli occhi sull'esistenza di mondi più ampi, dove gli eventi non sono casuali e le opportunità e le coincidenze intessono un'ampia trama in cui tutti hanno uno spazio. Lezione importante, da cui non si distaccherà nella grande impresa del suo Masterpiece, il Signore degli Anelli, dove è ancora più evidente come non si debba "abbaiare" a nessuno, perché ognuno contribuisce con una pennellata a un affresco impossibile da osservare appieno. Le sagge parole di Gandalf volte a risparmiare le creature apparentemente più ingrate, la lezione del grande gabbiano Mew sulla gentilezza: parti di un mosaico garbato improntato all'insegnamento della tolleranza.
Roverandom, sperduto, non viene portato sull'Isola dei Cani perduti, abbandonati dal loro padrone, dove crescono
«alberi di ossi con frutti succulenti che cadono dalla pianta
quando sono maturi»
ma sulla luna, dove vive così spensieratamente che un giorno, mentre un bambino gli fa il solletico, viene ammonito in questo modo:
«Ti sveglierai, se ridi così forte».
Roverandom vede il mondo, da lassù. Lo vede nitidamente e, sbirciando da un grande telescopio, cerca la spiaggia su cui è stato dimenticato, chiedendosi
«Cercano conchiglie o cercano me?».
La luna è magnifica, una distesa bianca e innevata, dove corrono scoiattoli grigi, pecorelle lanose, topolini bianchi, conigli sofficissimi, e la morbidezza di cotone è sporcata solo da chiazze nere e brulicanti di odiosi ragni. Per il cucciolotto impertinente è tempo di scorrazzare nella tenerezza, con un paio d'ali nuove fiammanti, cercando di lasciare un'impronta comoda nel giaciglio per poterlo chiamare a tutti gli effetti casa. Anche il piccolo cane in cuor suo può sentire un grande malessere, e qui sta il genio dello Splendente Tolkien: non nell'attribuire grandi oneri e responsabilità ai Grandi che combattono le vere decisive battaglie, ma nell'offrire il giusto spazio anche ai piccoli frammenti della storia, come al giovane Roverandom, preoccupato per il suo piccolo padrone e per se stesso:
«Ho un dolore dentro, dichiarò.
Voglio tornare dal piccolino, in modo che il suo sogno possa avverarsi».>
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