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venerdì 28 dicembre 2012

Peonia - epistola prima


Vede, io non so se apprezzerà il mio parlare franco. Non ci sono allenata, è tutto un forte calore alla testa che mi ha preso ultimamente. Un attimo prima sto sbucciando un’arancia, o sto parlando al telefono con il mio allibratore; poi mi scivola la cornetta fra le mani e impallidisco di colpo. No, non ce l’ho un allibratore. Ma di che stiamo parlando? Ecco, non so che tipo di uomo lei sia. Uno dai gusti semplici, vero? Domando. Non ama il mio rossetto color peonia, quindi? Ma che importa, che importa. Mi hanno detto che le labbra sono importanti, devono essere rosse come quando si premono con forza su un collo vergine. E nemmeno quella affascinante vena di masochismo, in una donna? Chiedevo, per curiosità. Perché un certo non so che di insano ce l’avrei. Un’intera arteria polmonare. Ecco perché mi vede sempre vagare senza meta e perché mi osserva sempre divertito indossare abiti incredibilmente poco confortevoli. È che, vede, ho sempre creduto di dover vivere con passione. Sì, con passione. No, non ce l’ho un allibratore. La prego, mi ascolti, devo esser deragliata da qualche parte nel discorso. Non so, ha presente certe canzoni in nero di seppia? Le hanno già detto che le viole non pensano? E di certo io non sto pensando. Biologicamente, programmaticamente devo aver sbagliato tutto, non s’offenda. Se ne rende conto, no? Non penso ad altro, fumo le mie sigarette bionde a grandi sospiri, trangugio il caffè, alzo continuamente il sopracciglio. Un uomo mi ferma per strada e dice che la mia sciarpa ingarbugliata, i miei occhi e le labbra, il rossetto peonia, gli tolgono il fiato. Alzo il sopracciglio, “Ah sì?”. Ho anche smesso di scommettere sui cavalli.
Che facciamo, mi dica. Che facciamo?

domenica 7 ottobre 2012

Pornotristezza


Vuoi che ti spogli con gli occhi, hai imparato a camminare come un giaguaro in attesa che K. in un vicolo del centro segua i tuoi fianchi.
Avrà abiti e abitudini scelti per noia, gli occhi socchiusi e un forte odore di carisma. Poi viene il sonno ed è un sonno osceno e zuppo di pianto.

venerdì 7 settembre 2012

K.

E mentre K. sfogliava i taccuini di Eva, mentre tutto intorno a lui diventava molle e tiepido, trovò parole che lo resero folle. Ed ebbe voglia di strappare ogni pagina da margine a margine e distruggere la rilegatura in pelle sfregiandosi i canini. E vi lesse un'ossessione che sapeva di aver provocato e a cui non sapeva sottrarsi.
"Ogni tanto imploravo dio, qualunque fosse il suo destino, di non farlo morire, di lasciarlo vivere almeno per il tempo sufficiente a inginocchiarsi davanti a me e posare la testa dove sempre l'aspetto. Ho sognato di camminare così dritta che in fondo alla strada infine non c'era nulla".

lunedì 25 giugno 2012

K.


K. si cambiava d’abito due volte al giorno ma si sdraiava sull’erba con me, e di questo gli ero grata. Gli ero grata anche per il vino versato e le sigarette succhiate fino al midollo, lo scatto fuggevole degli accendini, il sarcasmo, le mani guantate di noia nel lisciarmi dalle caviglie al torace.

mercoledì 6 giugno 2012

K.

Non appena ho conosciuto K. me ne sono innamorata. Lo amo tuttora, ma in modo decadente.
L'ho conosciuto nell'esatto momento in cui l'ho inventato. Da quando il suo sguardo e il modo di muovere le mani hanno colpito i miei sensi - l'ho amato. Si è formato un preciso pattern esagonale: mani non molto grandi, dita abbastanza corte, occhi verdi, sopracciglia scintillanti, camicia azzurra. Sopra ogni altra cosa il suono della sua voce e le sue palpebre socchiuse quando mi osserva.

Età, mestiere, passatempi, ricordi d'infanzia: tutto cancellato, tutto inutile. Non voglio nemmeno immaginare la sua vita prima di me. Non l'ho interrogato in merito e non lo farò mai. Perché di K, sotto sotto, non voglio conoscere neanche il nome. Ne ha uno provvisorio per quando devo presentarlo in pubblico. Il suo cognome è una città.

A nessuno è mai venuto in mente di domandargli cosa significhi la scritta nella sua camera da letto. E nessuno del resto osa approfondire i momenti striscianti della sua vita in cui non può essere controllato. Ciò accade perché K. è un'entità temporanea, ancorata al momento presente, incapace di librarsi oltre il suo fazzoletto di terra, vagamente nevrotica e confusionaria.
Ma la sua voce è adorabile - la adorereste anche voi. E di lui non mi interessa altro.
Ho amato il suo inclinare la testa, e anche le rughe della sua fronte. Poi l'ho amato quando ha distrutto una mensola e almeno otto bicchieri. Persino quando ha irrorato gli interni di pelle della sua auto.
E le sue suole sollevano polvere, quando cammina pieno di furore. Quando accade, su di me cala la grazia.
Ogni mia vescica è perché ho passeggiato con lui, o perché l'ho rincorso.

Verrà il giorno in cui lo lascerò andare. Intanto mi diverto a descriverlo, perché nemmeno una molecola del suo corpo mi è estranea, nemmeno quando non lo capisco. E so che tante donne prima di me hanno dichiarato ad alta voce di conoscerne ogni brandello; ma io - io sola - posso fare di lui ciò che voglio, dall'istante in cui ho iniziato a comporre le prime parole sul suo conto. Posso ucciderlo, cambiarlo, fargli scalare una roccia, tingergli i capelli, fargli accendere un sigaro, convincerlo a seguirmi in volo sopra l'Atlantico. E dal finestrino dell'aereo vedremmo le scogliere inabissarsi nel mio Falso Universo, e gli sciami di vespe inseguirci oltre le frontiere dell'assurdo. Ma forse dovrò abbandonarlo a pagina 75 del mio scritto, perché io possa aderire a un nuovo modello della realtà. Perché il totem va dato alle fiamme. Perché non lo stringerò mai davvero fra le braccia come se potesse esistere nei momenti minuti delle mie giornate. Perché sotto il lenzuolo c'è un sogno. Perché K. va amato e va sacrificato. Perché fino ad oggi è stato magnifico, ma anche questo deve finire.

lunedì 4 giugno 2012

Cronaca realistica - Fino ad oggi

Ho iniziato a scrivere un paio di mesi fa, e ora sono arenata. La storia è stupida e semplice, e nello stile cerco di essere sempre più sterile. Due cose scorrevano parallele: la vera storia (titolo provvisorio: Pomeriggio così strano - e senza sesso) e una cascata di appunti sulla vita che si muoveva insieme alla scrittura (Sbarazzarsi di te). Molte cose strane sono accadute.

Innanzitutto non è stato semplice perché non ho prodotto niente di buona qualità. Più riguardo indietro più me ne accorgo, specie il Capitolo V. Quel fottuto capitolo è una voragine.
E poi è sorto il primo problema: appena smetti di scrivere per te stessa - e te sola - una massa di aspettative ti crolla addosso. E ti picchia sulla fronte mentre bevi un caffè, mentre strappi striscioline di carta, mentre versi l'ammorbidente, mentre parli con il tuo allibratore. Disgustoso.

Poi c'è stato anche dell'altro: il processo della creazione.
Ho ascoltato ore intere di musica che non capivo fino in fondo, trastullandomi nell'idea che una certa cantante snob fosse in realtà una vera bellezza del Sud. Ed è chiaro che non ho idea di cosa sia una vera bellezza del Sud. Chiudevo gli occhi e mi dicevo: dov'è ora la mia protagonista, la soffice, stupida Iris? E vedevo una sala male illuminata, e in fondo a due pareti convergenti una tenda rossa. E scrivevo. E piano piano avveniva tutto anche fuori dal mio Falso Universo. Il mio Falso Universo è geograficamente impreciso - anzi lacunoso.
Non ho inventato nulla perché non ho descritto nulla, questa è una delle chiavi dominanti.

Inoltre ho inviato dei messaggi nello spazio. Il vuoto cosmico mi ha provocato un leggero imbarazzo e grande rotazione di bulbi oculari.
"Sto scrivendo un romanzo grandioso, sai? Lo dico con occhio scientifico, credimi".
"Sì?".
Nient'altro.

E come si incastra la mia esistenza comune con ciò che sto raccontando? Qui abbiamo un serio problema. Non può esistere una storia senza di me. Non può esistere nemmeno la più squallida della similitudini senza che una parta schizoide di me risieda in pianta stabile nei corridoi che loro calpestano, nelle lavastoviglie che riempiono, nelle tasche in cui frugano, nel sapone liquido che si rovesciano addosso.
Dov'è il senso vero di questa doppia alienazione? Che cosa significa Iris che cammina e che dorme e che spende e che taglia il nastro adesivo mentre qui, quaggiù, uno straniero mi lecca le guance, o qualcuno mi porge un sacchetto di plastica? C'è un contatto sempre pieno di scintille fra lei e me - fra i miei eventi e i suoi. Tutto questo tende a spossarmi.

E poi c'è il fatto che non ho più nulla da aggiungere. Sono incastrata a metà, sapendo cosa dovrei scrivere e non scrivendolo. Ho esaminato i dettagli con il meglio della mia paranoia e ho anche consultato le guide turistiche per conoscere quali fiori crescano nel loro giardino e quali no. E non riesco più a scrivere perché è cambiata la mia visione cosmologica. Perché niente in me si strazia nell'attesa di costruire e smontare e progredire. Perché non sono più innamorata di K, e questo cambia tutto.

giovedì 26 gennaio 2012

Passiamo la nostra esistenza a costruire castelli di carte

....poi passiamo il resto della nostra esistenza ad aspettare che qualcuno inciampi nel tavolo.

Scrivo dopo mesi perché sono disperata e non ho tempo da perdere, motivo per cui lo perdo.

Felicità®  -  Will Ferguson
Non è un libro che rileggerò o a cui ripenserò costantemente, non mi ha resa migliore, non è alta letteratura, non mi sono innamorata della prosa, e ho trovato troppo semplice descrivere il crollo delle compagnie dell'alcool e del tabacco come conseguenza dell'arrivo - quasi una parousia - della felicità. Tuttavia è un bel libro, mi ha fatto odiare la filosofia new age, il protagonista è un tizio allampanato e sostanzialmente è un esemplare tipo della razza umana: stanco, frustrato, incastrato in situazioni complicate e in comportamenti autodistruttivi, incasinato e innamorato. In definitiva sono d'accordo, l'appagamento completo ci succhierebbe via l'anima.


Delitti sotto la cenere - Nathan Gelb
Non posso sopportare che un americano di origini ebree sappia l'italiano meglio di me tanto da scriverci libri e costringermi a cercare sul dizionario metà delle parole. Detto questo, è un giallo settecentesco (solo per ambientazione, sia chiaro), dentro ci sono parole di merda come tabe, cristo santo, apprezzabili i criptogrammi che mi mandano sempre in brodo di giuggiole, troppo simile a un compitino di stile, poca passione.


A sangue freddo - Truman Capote
Leggo, mi informo e mi terrorizzo con scritti sul crimine perché sono convinta di non dover rimanere sorda alla violenza, perché penso che la conoscenza - anche quella più dilaniante e spaventosa - mi renderà libera. Una famiglia venne davvero sterminata nel cuore del Kansas nel 1959, l'America visse davvero momenti convulsi di caccia all'uomo, Capote conobbe davvero i due psicopatici e a un certo punto dell'immensa opera senti quasi di capirli, e scusarli. Richard Hickock alla sua esecuzione capitale strinse la mano al team che infaticabilmente era rimasto sulle sue tracce per mesi e che l'aveva messo spalle al muro, e disse "Grazie di essere venuti". A sangue freddo è un capolavoro del nuovo giornalismo, è un dipinto iperrealista della razza umana, è il virtuosismo di uno spirito profondamente deciso a incastrare il brulicare della vita in un prisma, in modo che sia impossibile guardarne un solo aspetto. Ci vuole sangue freddo anche solo per leggerlo.


Il cacciatore di parole - Howard Engel
Le premesse erano avvincenti: un paziente del neurologo Oliver Sack, la cui storia è contenuta nell'appassionante e irrimediabilmente tecnico L'occhio della mente, si trova una mattina in preda all'alexia sine agraphia. Quel paziente sfortunato è Howard Engel, scrittore, non maniscalco o cuoco, e con una rapida analisi non è previsto che possa continuare a scrivere. Invece produce un giallo che sulla carta è puro genio, perché il suo protagonista ha esattamente la patologia dell'autore, con l'aggiunta che durante la convalescenza qualche pericoloso mafiassassino è sulle sue tracce.
Bene. In realtà fa schifo. La prosa fa schifo, la gente non parla davvero in quel modo, nessuno trova ironico non ricordarsi una beata mazza e essere stato aggredito con una spranga. Se ne poteva fare a meno, MA L'occhio della mente lo consiglio. Solo il capitolo della donna strabica che scopre la stereoscopia guardando dei fiocchi di neve, dopo una vita passata a non percepire la terza dimensione vale una vita intera di cose possedute e non apprezzate.




Addio.