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mercoledì 6 giugno 2012

K.

Non appena ho conosciuto K. me ne sono innamorata. Lo amo tuttora, ma in modo decadente.
L'ho conosciuto nell'esatto momento in cui l'ho inventato. Da quando il suo sguardo e il modo di muovere le mani hanno colpito i miei sensi - l'ho amato. Si è formato un preciso pattern esagonale: mani non molto grandi, dita abbastanza corte, occhi verdi, sopracciglia scintillanti, camicia azzurra. Sopra ogni altra cosa il suono della sua voce e le sue palpebre socchiuse quando mi osserva.

Età, mestiere, passatempi, ricordi d'infanzia: tutto cancellato, tutto inutile. Non voglio nemmeno immaginare la sua vita prima di me. Non l'ho interrogato in merito e non lo farò mai. Perché di K, sotto sotto, non voglio conoscere neanche il nome. Ne ha uno provvisorio per quando devo presentarlo in pubblico. Il suo cognome è una città.

A nessuno è mai venuto in mente di domandargli cosa significhi la scritta nella sua camera da letto. E nessuno del resto osa approfondire i momenti striscianti della sua vita in cui non può essere controllato. Ciò accade perché K. è un'entità temporanea, ancorata al momento presente, incapace di librarsi oltre il suo fazzoletto di terra, vagamente nevrotica e confusionaria.
Ma la sua voce è adorabile - la adorereste anche voi. E di lui non mi interessa altro.
Ho amato il suo inclinare la testa, e anche le rughe della sua fronte. Poi l'ho amato quando ha distrutto una mensola e almeno otto bicchieri. Persino quando ha irrorato gli interni di pelle della sua auto.
E le sue suole sollevano polvere, quando cammina pieno di furore. Quando accade, su di me cala la grazia.
Ogni mia vescica è perché ho passeggiato con lui, o perché l'ho rincorso.

Verrà il giorno in cui lo lascerò andare. Intanto mi diverto a descriverlo, perché nemmeno una molecola del suo corpo mi è estranea, nemmeno quando non lo capisco. E so che tante donne prima di me hanno dichiarato ad alta voce di conoscerne ogni brandello; ma io - io sola - posso fare di lui ciò che voglio, dall'istante in cui ho iniziato a comporre le prime parole sul suo conto. Posso ucciderlo, cambiarlo, fargli scalare una roccia, tingergli i capelli, fargli accendere un sigaro, convincerlo a seguirmi in volo sopra l'Atlantico. E dal finestrino dell'aereo vedremmo le scogliere inabissarsi nel mio Falso Universo, e gli sciami di vespe inseguirci oltre le frontiere dell'assurdo. Ma forse dovrò abbandonarlo a pagina 75 del mio scritto, perché io possa aderire a un nuovo modello della realtà. Perché il totem va dato alle fiamme. Perché non lo stringerò mai davvero fra le braccia come se potesse esistere nei momenti minuti delle mie giornate. Perché sotto il lenzuolo c'è un sogno. Perché K. va amato e va sacrificato. Perché fino ad oggi è stato magnifico, ma anche questo deve finire.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

lo adoro!!-Bi

Anonimo ha detto...

Dolce e malinconico; spero che K. ne faccia di strada prima di essere sacrificato. Complimenti!!

Francesca ha detto...

Grazie <3 e K. ne farà per forza di strada perché ho in tasca un intero romanzo su di lui!