BLOGGER TEMPLATES AND TWITTER BACKGROUNDS »

lunedì 25 giugno 2012

K.


K. si cambiava d’abito due volte al giorno ma si sdraiava sull’erba con me, e di questo gli ero grata. Gli ero grata anche per il vino versato e le sigarette succhiate fino al midollo, lo scatto fuggevole degli accendini, il sarcasmo, le mani guantate di noia nel lisciarmi dalle caviglie al torace.

mercoledì 6 giugno 2012

K.

Non appena ho conosciuto K. me ne sono innamorata. Lo amo tuttora, ma in modo decadente.
L'ho conosciuto nell'esatto momento in cui l'ho inventato. Da quando il suo sguardo e il modo di muovere le mani hanno colpito i miei sensi - l'ho amato. Si è formato un preciso pattern esagonale: mani non molto grandi, dita abbastanza corte, occhi verdi, sopracciglia scintillanti, camicia azzurra. Sopra ogni altra cosa il suono della sua voce e le sue palpebre socchiuse quando mi osserva.

Età, mestiere, passatempi, ricordi d'infanzia: tutto cancellato, tutto inutile. Non voglio nemmeno immaginare la sua vita prima di me. Non l'ho interrogato in merito e non lo farò mai. Perché di K, sotto sotto, non voglio conoscere neanche il nome. Ne ha uno provvisorio per quando devo presentarlo in pubblico. Il suo cognome è una città.

A nessuno è mai venuto in mente di domandargli cosa significhi la scritta nella sua camera da letto. E nessuno del resto osa approfondire i momenti striscianti della sua vita in cui non può essere controllato. Ciò accade perché K. è un'entità temporanea, ancorata al momento presente, incapace di librarsi oltre il suo fazzoletto di terra, vagamente nevrotica e confusionaria.
Ma la sua voce è adorabile - la adorereste anche voi. E di lui non mi interessa altro.
Ho amato il suo inclinare la testa, e anche le rughe della sua fronte. Poi l'ho amato quando ha distrutto una mensola e almeno otto bicchieri. Persino quando ha irrorato gli interni di pelle della sua auto.
E le sue suole sollevano polvere, quando cammina pieno di furore. Quando accade, su di me cala la grazia.
Ogni mia vescica è perché ho passeggiato con lui, o perché l'ho rincorso.

Verrà il giorno in cui lo lascerò andare. Intanto mi diverto a descriverlo, perché nemmeno una molecola del suo corpo mi è estranea, nemmeno quando non lo capisco. E so che tante donne prima di me hanno dichiarato ad alta voce di conoscerne ogni brandello; ma io - io sola - posso fare di lui ciò che voglio, dall'istante in cui ho iniziato a comporre le prime parole sul suo conto. Posso ucciderlo, cambiarlo, fargli scalare una roccia, tingergli i capelli, fargli accendere un sigaro, convincerlo a seguirmi in volo sopra l'Atlantico. E dal finestrino dell'aereo vedremmo le scogliere inabissarsi nel mio Falso Universo, e gli sciami di vespe inseguirci oltre le frontiere dell'assurdo. Ma forse dovrò abbandonarlo a pagina 75 del mio scritto, perché io possa aderire a un nuovo modello della realtà. Perché il totem va dato alle fiamme. Perché non lo stringerò mai davvero fra le braccia come se potesse esistere nei momenti minuti delle mie giornate. Perché sotto il lenzuolo c'è un sogno. Perché K. va amato e va sacrificato. Perché fino ad oggi è stato magnifico, ma anche questo deve finire.

lunedì 4 giugno 2012

Cronaca realistica - Fino ad oggi

Ho iniziato a scrivere un paio di mesi fa, e ora sono arenata. La storia è stupida e semplice, e nello stile cerco di essere sempre più sterile. Due cose scorrevano parallele: la vera storia (titolo provvisorio: Pomeriggio così strano - e senza sesso) e una cascata di appunti sulla vita che si muoveva insieme alla scrittura (Sbarazzarsi di te). Molte cose strane sono accadute.

Innanzitutto non è stato semplice perché non ho prodotto niente di buona qualità. Più riguardo indietro più me ne accorgo, specie il Capitolo V. Quel fottuto capitolo è una voragine.
E poi è sorto il primo problema: appena smetti di scrivere per te stessa - e te sola - una massa di aspettative ti crolla addosso. E ti picchia sulla fronte mentre bevi un caffè, mentre strappi striscioline di carta, mentre versi l'ammorbidente, mentre parli con il tuo allibratore. Disgustoso.

Poi c'è stato anche dell'altro: il processo della creazione.
Ho ascoltato ore intere di musica che non capivo fino in fondo, trastullandomi nell'idea che una certa cantante snob fosse in realtà una vera bellezza del Sud. Ed è chiaro che non ho idea di cosa sia una vera bellezza del Sud. Chiudevo gli occhi e mi dicevo: dov'è ora la mia protagonista, la soffice, stupida Iris? E vedevo una sala male illuminata, e in fondo a due pareti convergenti una tenda rossa. E scrivevo. E piano piano avveniva tutto anche fuori dal mio Falso Universo. Il mio Falso Universo è geograficamente impreciso - anzi lacunoso.
Non ho inventato nulla perché non ho descritto nulla, questa è una delle chiavi dominanti.

Inoltre ho inviato dei messaggi nello spazio. Il vuoto cosmico mi ha provocato un leggero imbarazzo e grande rotazione di bulbi oculari.
"Sto scrivendo un romanzo grandioso, sai? Lo dico con occhio scientifico, credimi".
"Sì?".
Nient'altro.

E come si incastra la mia esistenza comune con ciò che sto raccontando? Qui abbiamo un serio problema. Non può esistere una storia senza di me. Non può esistere nemmeno la più squallida della similitudini senza che una parta schizoide di me risieda in pianta stabile nei corridoi che loro calpestano, nelle lavastoviglie che riempiono, nelle tasche in cui frugano, nel sapone liquido che si rovesciano addosso.
Dov'è il senso vero di questa doppia alienazione? Che cosa significa Iris che cammina e che dorme e che spende e che taglia il nastro adesivo mentre qui, quaggiù, uno straniero mi lecca le guance, o qualcuno mi porge un sacchetto di plastica? C'è un contatto sempre pieno di scintille fra lei e me - fra i miei eventi e i suoi. Tutto questo tende a spossarmi.

E poi c'è il fatto che non ho più nulla da aggiungere. Sono incastrata a metà, sapendo cosa dovrei scrivere e non scrivendolo. Ho esaminato i dettagli con il meglio della mia paranoia e ho anche consultato le guide turistiche per conoscere quali fiori crescano nel loro giardino e quali no. E non riesco più a scrivere perché è cambiata la mia visione cosmologica. Perché niente in me si strazia nell'attesa di costruire e smontare e progredire. Perché non sono più innamorata di K, e questo cambia tutto.