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domenica 27 febbraio 2011

I Wonder Should I Get Up And Fix Myself A Drink



Ho dei problemi ad addormentarmi, nel senso che proprio non dormo fino al mattino se non ho obblighi particolari. Stanotte ho deciso di spegnere la luce alle 7. Forse dovrei dire stamattina.
E comunque non riuscivo ad addormentarmi, e non solo albeggiava già da molto, ma ho sentito anche le prime campane, e non avevo ancora sonno. Ma ad occhi chiusi, nell'orrenda dormiveglia, continuavo a pensare e a ripensare e mi veniva in mente solo una stanza semibuia, profumo d'olio e uno sconosciuto che mi fissava. E io continuavo a ripetere "Devi farlo, non devi smettere di farlo. Sentirò di essere tornata una persona completa e armoniosa se tu continui. Devi farlo, e io sentirò di essere finalmente a posto e di aver risolto tutti i problemi che mi fermano. Devi farlo per tutte quelle sere in cui avrei dovuto essere baciata, e devi farlo anche per quella scena avvenuta in questa stanza che ogni tanto non mi fa dormire anche se non sono mai tornata sui miei passi. Anche se sono rimasta di pietra e non ho avuto nemmeno un ripensamento e sapevo di far bene. E anche per tutte le volte che non sono stata ascoltata. Per quella sera sul prato con una coperta che lei non ha voluto starmi a sentire. E per quando in quel bar pieno di fumo mi ha detto "Lo so che ti fa soffrire quella storia e mi chiedevo quando l'avresti detto". E anche per il mio karma e per quegli scalini. E per tutti quelli che non hanno voluto mai sapere la mia opinione, per tutti quelli che mi hanno parlato a casaccio senza dirmi che la mia ragionevolezza sarebbe stata vitale. Per tutte quelle volte in cui sono stata accantonata perché scomoda, e anche quando qualcuno ha smesso di parlarmi perché era troppo terrorizzato per farlo, e per tutti gli attimi di estasi e di pace dei sensi che mi sono tenuta per me, in pieno mattino d'inverno, ascoltando arie d'opere, e cancellando messaggi già scritti e inviati perché non fossero mai letti. E anche per quando sono stata sincera e non me ne è venuto niente, ma intanto io  l'avevo fatto per me e questo mi bastava. Per quella volta che lei è venuta qui e io sapevo di non dovermi fidare, e per i gesti di cattiveria che ho tollerato da sola, e per la mia vendetta sinceramente piena d'odio e per aver ricordato la realtà a chi me la chiedesse e poi per aver parlato poco e per aver parlato troppo, e per aver confuso la coincidenza con il destino".
Poi ho dormito. Ma nessuno riporterà mai l'equilibrio nel suo animo frastornato se non dopo aver vissuto nell'azzurro profondo. 

venerdì 25 febbraio 2011

Le torte cremose e l'essere: riflessione sulla solitudine.




Le torte cremose mi nauseano, mi disgustano, mi repellono. Le torte cremose sono viziose, dense, banali; non il tipico dolce ovvio che però piace comunque. No. Le torte cremose sono ributtanti.

Oggi a sole calante, ecco, riflettevo su quanto piacevole possa esser la scuola durante il pomeriggio. Voglio dire, si, sentirsi soli in un posto così grande, deserto. Ed è paradossale, dico io. Il mondo è più grande d'una scuola, deserto nello stesso modo quando ci si sente soli; però, boom, sembra più un lercio monolocale dall'affitto esoso. Ma esser soli è forse bello? Certo, non sentirsi contraddetti, pieni poteri (su chi, poi?), propria legge, volontà rispettate ( è forse possibile andar contro la propria volontà? Volontà, voglia, passioni: stoici o epicurei? C'è qualcuno disposto, forse, a sacrificare le proprie volontà per cosa, poi? Dove cazzo voglio arrivare?). Esser soli è non avere al proprio fianco nessuno; essere soli è essere nessuno? Dico, bisogna avere la consapevolezza d'essere per essere, essendo soli come si fa ad ottenerla? Con una compagnia che è, si raggiunge la facoltà d'esser perché, empiristicamente, ci si accorge di canoni stardard. Ci sono canoni standard, quindi: siamo tutti uguali. Tutti chi, se ci sentiamo soli? Ci sentiamo soli ma siamo comunque circondati: si può esser realmente soli? Ah, che lamento, che litania. Ecco la purezza irragionevole d'uno scritto che non è niente, come irragionevole è quando s'iniziano a gradire maggiormente gli acri frutti acerbi preferendoli a quelli maturi, succosi, esperti. E sentirsi non soli?-perché il contrario di solo, secondo me, non esiste- Far parte di qualcosa, qualcosa di stimolante, d'intimo, di elettrizzante. Sentirsi una fetta di torta cremosa-no-oppure una minuscola cellula cooperante per un corpo poetico, armonioso, perfetto. Bello. O no.

Ad ogni modo, questo post è zeppo di frasi sconnesse in nome d'un processo creativo disturbato dalle interferenze d'una scomoda discussione-che sto avendo con me stesso-vestita di dubbi, incertezze.

martedì 22 febbraio 2011

Ho messo a riciclo la mia collezione di Bacardi.






Le mie opportune voglie adolescenziali si concretizzarono, qualche estate fa, in una timida collezione di bottiglie di Bacardi, portate a casa dopo brevi serate da Cenerentola.

Così, poste su d'una mensola, calamite per la polvere, sono state sfoggiate per la memoria d'effettivo nulla. Nulla perché quelle serate di degradante libertinaggio, sicuro d'un falso anonimato, non hanno fatto altro che rallentarmi, svuotarmi il portafoglio, provocarmi illusori nirvana.
Ecco, preso dall'irrefrenabile desiderio di NON studiare fisica, ho deciso di sbarazzare la mensola sudicia di ricordi. Bottiglie alla mano, coltello, buste della differenziata e giù in giardino.

L'acqua della fontana era gelida, ma il conforto provocatomi dal raschiare via dalla bottiglia la carta colorata rievocava il conforto provocatomi dal raschiar via i segni d'una emancipazione falsa, corrotta dal rum e dal succo di frutta, emancipazione non avvenuta perché non doveva avvenire, perché sarebbe stata inopportuna, prematura.

Prima si bagna la carta, dopo si raschia via.

Non per rinnegare o dimenticare, volevo solo metter da parte quel piccolo pezzo del mio grande nulla.
Rientrato, ho aspettato con soddisfazione ch'una consapevole acqua calda facesse si che le mie gelide mani riprendessero a funzionare.

Sospetto un'insufficienza in fisica, ad ogni modo.

lunedì 21 febbraio 2011

La Pera Non Entra Nel Cestino: Farneticazioni sulla Sproporzione

 La Camera d'Ascolto - Magritte
 La Gigantessa - Magritte




Cosa mi piace? La sproporzione. Cosa è affascinante? La sproporzione.
La sproporzione fra le parti di un insieme è una spinta violenta all’equilibrio, è uno stupro ai danni dell'armonia complessiva. Si veda La Gigantessa, con le fattezze note della moglie di Magritte, che riempie la stanza troneggiando, nuda come la Veritas, e schiaccia l'uomo, vestito, di spalle, minuscolo. Si vede nitidamente che la stanza, il mondo, è costruito a misura di Gigante. 
Nella mia cultura personale, Magritte vince la gara della sproporzione. Ingaggia lotte smisurate fra gli elementi, non solo facendoli interagire stranamente (vetri che infrangendosi spezzano anche l'immagine dietro di essi, cielo in bottiglia, specchi che riflettono il rovescio dell'oggetto), ma anche esasperandone la dimensione o strizzandola, riducendola. 
La mia prima composizione ragionata, scelta, voluta, si chiamava La Pera Non Entra Nel Cestino, e fu il mio primo schizzo non casuale. La pera troppo grande per entrare nel cestino da pic-nic era il mio grido contro i pezzi del mosaico che non si incastrano, contro gli eventi al di là di ogni previsione, quelle circostanze esagerate e odiose che sconvolgono i piani. Questo probabilmente è anche il senso delle opere di Magritte: rose e mele che da sole riempiono una stanza dove non passerebbe un filo d'aria, e che eppure è chiamata la Camera dell'Ascolto

Ma cosa c'è da ascoltare? 

Gli opposti, i contrari, il bianco che brilla presso il nero e il nero che ha senso di rabbuiare solo presso il bianco, il sorriso dello Stregatto che svanisce e riappare, Veneri enormi e ridenti, conigli bianchi che appaiono dal nulla. Ed è un grande piacere incontrare l'inaspettato, infine, almeno finché abbiamo l'ironia sufficiente per non esserne schiacciati. 




 Sposi sul Gallo Rosso - Chagall


Venere di Urbino - Tiziano 
&
La Lettera - Botero

giovedì 17 febbraio 2011

Second of art




Inghilterra Elisabettiana che, proprio come la fenice rappresentata, risorge.
Un mito, quello che diede origine alla guerra di troia, rivalutato.
Tre dee sconfitte, umiliate, piegate alla volontà d'una regina che, con sguardo sufficiente, custodisce la bolla regale, allegoria d'un pomo dorato che fu causa di guerre e dolori.
Un bimbo, nudo, alato, garante d'una sanguinosa invulnerabilità alle insidiose passioni.
In cima ai gradini LA donna, superiore alle divine competitrici, che plasmò le sorti d'una storia illustre.

H.E., Elizabeth I and the three Goddesses (1569 )

lunedì 14 febbraio 2011

Art For Art's Sake



Bozzetto di Gustav Klimt in matita sanguigna.
Due donne abbracciate in un momento di abbandono, di pace dei sensi.
I loro corpi sono rilassati e scomposti, ma poiché sono belli e sinuosi sono anche eleganti e piacevoli. Trasmettono la morbidezza dei cuscini, il piacere di dormire nudi nell'afa di fine estate, la spossatezza fisica e mentale di quando si è invischiati in un amore-sanguisuga.

Non c'è nessun messaggio, solo l'intensità del piacere di guardare dalla serratura il momento in cui una donna si spoglia, si scioglie i capelli e si sente liquida, invasa da un calore denso come miele.

Il vero immortale è l'amor.*

Questo non sarà l'ennesimo post cinico e disprezzante. Gli autori di questo blog provano rispetto ed estrema compassione nei confronti di chi, alla fesseria che è questa ricorrenza, crede ancora.


L'innamoramento è un roseo gomitolo d'intricati sentimenti, dettati da fattori psico-bio-sociologici, con il quale son soliti giocare passionali gattini.
Oggi, 14 Febbraio, ecco, è San Valentino, giorno in cui Quei gattini fornicano di più dopo essersi scambiati diabetici regali perché qualcuno ha deciso che oggi bisognava farlo.
Ma avevamo davvero necessità di tale ricorrenza che è forse un po' malcostume? Voglio dire, sarà colpa di mercenari senza scrupoli che hanno commercializzato ed inflazionato la purezza d'un sentimento così praticato rendendolo banale e comunemente odiato, ma forse noi un po' allocchi ci siamo. Abbiamo bisogno dei cuoricini, di frasi lascive, di splendide rose: l'amore deve esser dolce.
Perché?!
Io non amo le cose dolci.
L'amore è bello, vorticoso, inebriante, immortale.
Inneggiamo all'amore per le idee, per il reale, per l'attimo, per la vita, per le persone che contano
perché l'amore è bello, vorticoso, inebriante, immortale.
Ti graffia, ti segna per il momento e per l'infinito.
L'amore è intelletto, non folle, razionale.
E a voi, a voi che praticate l'amore dissoluto, sguaiato, licenzioso: vi tollero.
Vi tollero, beati pascenti su colline d' illusoria incoscienza.

*Giosuè Carducci.

giovedì 10 febbraio 2011

Tolkien & Il Paradiso dei Bravi Cagnolini

«Dove andiamo, allora?» domandò Roverandom.
«Seguiamo la scia della luna fino al limite del mondo e poi lo superiamo e saliamo sulla luna».


Non so se Tolkien mentre raccontava questa favola dorata sapesse di essere un gioielliere con un cammeo in mano. Immagino che il genio porti sempre con una certa inconsapevolezza.
Un cagnolino di latta perduto: così nasce questo gioiellino, in un pomeriggio assolato in spiaggia, quando Micheal Hilary Reuel Tolkien dimentica sulla sabbia il suo gioco preferito. Ed è così che prende vita un impeccabile minuscolo capolavoro, grande come una miniatura, illustrato dall'autore stesso, imbevuto di una delicatezza di acqua di rose, di animali gentili, di stregoni arroganti e di sirene meravigliose.
Roverandom era un cagnolino vero, un tempo, una creaturina che nella sua piccolezza si è macchiato di aver fatto uno sgarro a uno stregone raggrinzito dal sole, un "cucciolotto impertinente". Con questo delizioso racconto Tolkien in tono dolceamaro insegna a un bimbo l'esistenza degli intrecci del destino, gli insegna a non rassegnarsi ma ad aprire gli occhi sull'esistenza di mondi più ampi, dove gli eventi non sono casuali e le opportunità e le coincidenze intessono un'ampia trama in cui tutti hanno uno spazio. Lezione importante, da cui non si distaccherà nella grande impresa del suo Masterpiece, il Signore degli Anelli, dove è ancora più evidente come non si debba "abbaiare" a nessuno, perché ognuno contribuisce con una pennellata a un affresco impossibile da osservare appieno. Le sagge parole di Gandalf volte a risparmiare le creature apparentemente più ingrate, la lezione del grande gabbiano Mew sulla gentilezza: parti di un mosaico garbato improntato all'insegnamento della tolleranza.
Roverandom, sperduto, non viene portato sull'Isola dei Cani perduti, abbandonati dal loro padrone, dove crescono
«alberi di ossi con frutti succulenti che cadono dalla pianta
quando sono maturi»
ma sulla luna, dove vive così spensieratamente che un giorno, mentre un bambino gli fa il solletico, viene ammonito in questo modo:
«Ti sveglierai, se ridi così forte».
Roverandom vede il mondo, da lassù. Lo vede nitidamente e, sbirciando da un grande telescopio, cerca la spiaggia su cui è stato dimenticato, chiedendosi
«Cercano conchiglie o cercano me?».
La luna è magnifica, una distesa bianca e innevata, dove corrono scoiattoli grigi, pecorelle lanose, topolini bianchi, conigli sofficissimi, e la morbidezza di cotone è sporcata solo da chiazze nere e brulicanti di odiosi ragni. Per il cucciolotto impertinente è tempo di scorrazzare nella tenerezza, con un paio d'ali nuove fiammanti, cercando di lasciare un'impronta comoda nel giaciglio per poterlo chiamare a tutti gli effetti casa. Anche il piccolo cane in cuor suo può sentire un grande malessere, e qui sta il genio dello Splendente Tolkien: non nell'attribuire grandi oneri e responsabilità ai Grandi che combattono le vere decisive battaglie, ma nell'offrire il giusto spazio anche ai piccoli frammenti della storia, come al giovane Roverandom, preoccupato per il suo piccolo padrone e per se stesso:
«Ho un dolore dentro, dichiarò.
Voglio tornare dal piccolino, in modo che il suo sogno possa avverarsi».>

mercoledì 9 febbraio 2011

La famigerata arte del procrastinare.



Ovvero l'arte del temporeggiare, del lasciare insoluti i propri doveri.


Parafrasando Baudelaire, un buon modo per sprecare il tempo è non impiegarlo. Considerata dai più come una vera e propria filosofia di vita, potrebbe ipoteticamente rivelarsi estremamente rovinosa. Siti propongono una scansionata dieta per liberarsene, come fosse un vorace morbo, un' abitudine alla quale siamo soliti assuefarci. Ma quanto siamo cazzutamente pigri?

Ci pensavo, prima, improvvisando plastici cilici, per una fustigazione che sto comunque continuando a procrastinare, al pessimismo antropologico. Barcamenandomi fra Machiavellici pensieri e storiche riforme, sono arrivato anch'io a credere che l'uomo sia per natura cattivo. Cattivo perché continua a rimandare, a prendersi gioco di se stesso, a cullarsi nel nulla, ricordando il procrastinare d'un Aleksej Ivànovic, un po' l'alter ego d'un frettoloso Dostoevskij.
No, ma voglio dire, LA VOGLIAMO SMETTERE?
Se chi ha fatto la storia (qualcuno l'avrà fatta, eh!) si fosse concesso un simil lusso, voi non potreste esser qui a boccheggiare annoiati.
Basta grattarsi il culo, che diamine!

martedì 8 febbraio 2011

La gatta di mia zia.






Il fastidio guizza dagli occhi. I miei poveri nervi indolenziti.
La zia ha passato la serata cercando di convincermi, secondo me di convincersi, dell'esistenza reale ed effettiva d'un paradiso per animali:

-"E' che io non posso non pensare che un essere che..."
-"Singhiozzo."
-"...è in grado di capire e di farsi capire, che ha la percezione di sé,..."
-"..."
-"...non abbia un'anima! Ho letto da qualche parte che un qualche organo della chiesa ha stabilito che possano risorgere, che ci ricongiungeremo a loro!"
-"Singhiozzo."
-"Non riesco a capire se stai piangendo o ridendo."

E' colpa del nostro cervello, mi pare d'aver letto, se ricerchiamo nel nulla e nell'altro immagini sensibili e modi d'agire a noi comuni, tanto da sperare addirittura in una resurrezione felina. C'è un Dio felino? I gatti commettono peccati? Inferno e Purgatorio? Nada, eh! Morto un animale domestico non se ne fa un altro, no.

Piangevo.
Quel misero cuore che tanto ha dato, credo, dev'esser lacero dal dolore.

Stronza fino alla fine.

Non è il momento di figliare: lo dicono gli esperti.

Questo titolo da "Libero news" merita una spiegazione. Giuro che non sto ri-tritando notiziole e opinioni banalotte di medici (?) e scienziati (?) come appaiono su BenessereMenteECorpo.org (non affrettatevi a cercarlo, l'ho inventato e se esiste per amor di dio non querelatemi, sono già tanto sfigata e triste).

Oggi pomeriggio mentre impanavo le polpette, alla radio hanno mandato la canzone della Nannini (Ogni Tanto) sulla figlia tanto attesa. E subito mi sono messa a pensare. Devo giurare di nuovo: non mi metterò a dire che è un mondo di merda ma c'è tanto amore.
Voglio proprio dire che è un mondo di merda!
E quindi non è il momento di figliare, lo dicono gli astrologi. Lo sappiamo già tutti, il mondo sta finendo. In verità nessuno ci ha ancora spiegato in che modo, ma ci è chiarissimo che il mondo è prossimo alla sparizione. Ne sono certa in cuor mio, so che finirà tutto, niente sarà come lo conoscevamo. E perché, chi di voi adesso lo riconosce? Io no, e non ho millecinquecento anni, ma me lo ricordo bene che una volta non era la terra stessa a ribellarsi, non erano nemmeno gli uomini a cannibalizzarsi, nessuno in modo così scellerato e barbaro distruggeva qualcosa che è necessario rimanga sempre patrimonio universale dell'umanità. Quando leggo del museo del Cairo mi viene da piangere, e non scherzo. Non ci voglio credere, non può essere successo, non può andare in macerie il relitto degli antichi fasti della razza umana, quella razza che in certe epoche ha conosciuto tanto splendore.
Ci salverà la cultura, non il disinteresse. La conoscenza, non l'eremitismo.
Gianna, mi dispiace doverlo dire, ma hai sbagliato momento se pensavi di far nascere la tua bambina nel morbido e nel pulito. Anch'io ho sbagliato epoca.

domenica 6 febbraio 2011

Vite anacronistiche e riflessione sulla saggezza.








Il comune caso di Benjamin Button.

Inverosimile come il fluire del tempo renda taluni ancor più fanciulli nel senso meno nobile del termine, s'intende. Ho avuto la grazia d'incontrare non fortunatissime anime vittime di imprudenze dettate da puerili atteggiamenti anacronistici, data la loro età. E' che forse, io penso, non esistono 3 età ( fanciullezza, adultità, vecchiaia ) o meglio, per esser più chiaro, la prima fra le età si ripete una nuovamente dopo la seconda, in modo ciclico. Da piccini, ignoranti riguardo il mondo, si necessita sostegno; da adulti, ecco, si prende coscienza di se stessi e della propria funzione sociale; da vecchi, ignoranti d'un modo che, intanto, è andato avanti, si necessita di sostegno. Quindi, andando avanti si torna indietro.
Ad ogni modo, credo che il fulcro, quello concreto, siano le attenzioni. Si è l'attenzione, il sostegno, di cui si necessita indipendentemente dalla fase che si sta attraversando.

Ma allora, ricordando la felice età puerile, perché si teme la vecchiaia? E' paradossale, in un certo qual senso: l'invalidità che potrebbe esser quella neonatale, i limiti di ragionamento. Da ignoranti s'è felici, da coscienti s'ha paura di regredire.

E la saggezza senile? E la saggezza non esiste, la saggezza è calma manifesta, la saggezza è finta pazienza.
E' solo CULO, la saggezza è CULO.



sabato 5 febbraio 2011


Che dolcezza vuoi che senta chi ha sete tuttavia? Infatti, dov'è il gusto?
Mi dispiacerà illudere il solitario e sfortunato navigatore dei mari del Web, ma non scriverò la ricetta dei miei muffin. La vera tragedia è che ormai i muffin li ho citati, e qualcuno capiterà qui per sbaglio, prima o poi, e sarà molto deluso, e le quotazioni del tristo blog caleranno ancora e questa è veramente una disfatta cosmica.
In realtà sono qui per dirvi i fatti miei, cioè che da almeno tre anni ho in mente una storia clamorosa, barocca, artificialissima, tutta piena di guglie e non ho il coraggio di scriverla. Sto aspettando pazientemente che quella ragionevole parte di me, quella lucida e con gli occhiali da vista, la smetta di dirmi che mi trovo su un divano in una stanza buia e un giradischi e una trama fra le mani che è una cazzata allucinante. E dovrebbe evitare di dirmi che diventerò banale o illeggibile.
Ma è vero: se fossi una persona più chiara scriverei cose luminose e felici, invece sono una semipsicopatica che si sforza di essere all'occorrenza saggia, triste, distante, divertente, interessata. Non c'è gusto ad ascoltare le chiacchiere noiose, e infatti ultimamente ho detto basta. Non rispondo più a nessuno e non rispondo più di niente, come quando rubano i portafogli in spiaggia. Nel frattempo però ho sempre sete.

venerdì 4 febbraio 2011

L'estetica pornografica d'un salame.

Ebbene, non si tratta esclusivamente d'una eventuale forma fallica: parliamo del salame.

D'antiche origini, è un comune insaccato. Insaccato di maiale. Il maiale, com'è noto, è un caro pingue animale che adora trastullarsi in lurido fango, masticatore di avanzi affetto da parafiliaci istinti. Ecco, invero ho la sensazione antropologica che l'uomo sia attratto dall'insaccato suino poiché questi lo riporta ad istinti primitivi, al piacere del grugnito, al bisogno di sentirsi sporchi dentro e fuori. Che venga detto: chi non è un po' maiale? Siamo ingordi, truffaldini, accomodanti, pigri proprio come il roseo grugnitore e a suon di OIK idolatriamo feticisticamente la nostra merda eccitati da tanto ludica e pornografica sensazione.

Quindi, una volta al macello, il buon allevatore godrà della carne da insaccare.
Quante volte ci facciamo "insaccare"? Voglio dire, allegoricamente, quegli scarti da mangiare, la merda, sono le schifezze quotidianamente propinateci da quella acida vecchia che è la selezione naturale: per farla breve, i beoti sono la nostra calorica dieta e la causa della nostra acidità di stomaco; e sono anche i beoti ad insaccarci con la loro stupidità, perché si, siamo fragili.

Dunque, ricapitolando: noi siamo maiali, i maiali mangiano schifezze, noi mangiamo i beoti, noi ci facciamo insaccare dai beoti, i beoti mangiano i beoti insaccati, noi siamo beoti.

Ecco, i beoti sono più che beoti.

L'ARBITER RESISTE.

L'Arbiter resiste, lo dico con la serietà di un annuncio internazionale a reti unificate. Ma considerando che qui non abbiamo nè 25 lettori, nè la falsa modestia di Manzoni, sono quasi certa che questo messaggio non passerà alla storia.

La verità è che credo fermamente nel senso dell'Arbiter, credo nel suo valore estetico e credo di avere ancora qualcosa da dire, dovesse anche rimanere inascoltato. Non è l'arroganza che ci muove a sperare di essere letti: è il gusto del bello, del gioiello, della miniatura. E scriviamo perché speriamo che travasando la parte nascosta di noi in uno spazio finto saremo persone più equilibrate, e non più alienate.
Vi spalanco le porte dell'Arbiter, e se vi troverete bene, stapperemo il vinello dolce dei colli veronesi.

Elsewhere, l'autrice gattonero che vuole sempre essere altrove.

Il mio contributo, invece, sarà sfacciatamente elegiaco, nel senso più piagnucoloso del termine.
Adorabile spugna, questo nostro blog sarà annegato anche dalle mie elucubrazioni dalla leziosa rabbia cantate.

L'Arbiter sotto nuova luce.

Sheepwrecked, compagno empirista d'una vita scriteriata.